Dietro il volto scavato, oltre le gambe salde.
Dentro la larghezza esatta delle spalle di un padre, nel cuore insondabile e severo. Costretto tra facciate scure e buio malcelato. Non c’è niente, a parte lo spazio che attendi. Non puoi dire che è vuoto.
Questo è TONIE.
Tolto l’odore acre, i pascoli assolati, i muggiti gravi.
A parte i nomi, il loro lavoro, la cura per addomesticarli.
Restano le schiene ingobbite, le corna ricurve, il pesante ciondolo sonoro che dà loro voce – unica, inconfondibile.
Basta questo per accarezzarne uno, respirarne la potenza mansueta, riconoscerne il canto.
Questo è BOE.
Leggero come la foglia che fluttua a mezz’aria, fermo come il prato su cui si posa.
Segnato dal tempo, aperto al mondo, unico.
Raccoglie, mostra, espone. Perché è il dovere di ogni esperienza.
Come la foglia nuda che cade, orgogliosa dei segni che porta e del volo che affronta.
Questo è BUKAU.
Solenni come pianeti incorniciati, o discreti come facce di una luna tascabile.
Rifulgono maestosi e interrompono il buio, lo smorzano, lo adornano.
Mosso da due tensioni: anelito verso il cielo e girotondo.
Per questo ritto come un guardiano, circolare come il tempo. Sentinella di un deserto in bianco e nero, è sempre presente e sempre nel ricordo. Ha perduto l’arido, vive il ripetersi identico, sovrappone e confonde le stagioni.
Questo è CACTUS.